venerdì 23 novembre 2018

Recensione: "La lettera scarlatta" di Nathaniel Hawthorne

Buongiorno amici lettori!
Finalmente torno da voi dopo problemi fisici e impegni vari per recuperare quelle che sono state le mie ultime letture che in questi giorni mi hanno guardato in cagnesco da sopra il comodino in attesa che io gli prestassi la giusta attenzione. Inizio con il dire che questo mese si sta rivelando per me quello delle grandi sorprese, molti libri sul quale non riponevo molte aspettative mi hanno profondamente sorpreso. Ma, come ben sapete, c'è anche il contrario della medaglia e ahimè il libro di cui vi parlo oggi, di cui attendevo la lettura da diverso tempo, non è stato capace di fare altrettanto.
Sto parlando di "La lettera scarlatta" grande classico americano scritto da Nathaniel Hawthorne nel 1850. La storia è davvero molto famosa, anche grazie all'omonimo film del 1995, e l'ambientazione risulta davvero interessante ma la narrazione in sè non è riuscita a convincermi del tutto. Ora vi spiego il motivo


Titolo: La lettera scarlatta
Autore: Nathaniel Howthorne
Paese: Stati Uniti d'America
Titolo originale: The Scarlet Letter 
Genere: Romanzo storico
Pagine: 180
Prima pubblicazione: 1850
Anno edizione: 2009
Casa editrice italiana: Liberamente
Prezzo di copertina: 9.90 euro copertina flessibile (disponibile in molteplici edizioni differenti)

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Nella Boston puritana del 1600, Hester Prynne, una giovane e bellissima donna giunta in città qualche tempo prima, viene accusata di un grave peccato, quello di adulterio. La donna è rimasta infatti incita dopo una relazione extraconiugale visto che il marito, che avrebbe dovuto raggiungerla pochi mesi dopo il suo arrivo, non è mai arrivato e il prezzo da pagare e tutt'altro che leggero, aggravato ancora più dal fatto che fin da subito la donna si rifiuta di rivelare il nome del suo amante. Dopo lunghi e strazianti mesi di prigionia, in cui la donna da alla luce la piccola Perla, Hester è costretta a rimanere per un giorno interno sulla pubblica gogna e a portare per il resto dei suoi giorni cucita sul corsetto una sfavillante "A" scarlatta, simbolo del suo peccato. Proprio durante questo suo supplizio fa la sua comparsa in città un uomo che si rivelerà presto essere il marito di Hester, creduto morto ma rimasto per tutto quel tempo prigioniero dei Pellerossa, e che venuto a conoscenza del fatto deciderà di crearsi una nuova identità in modo da indagare nell'ombra e stanare l'uomo che si è approfittato di sua moglie. Così inizia un vero e proprio triangolo d'azione; da una parte Hester, diventata ormai una reietta, dall'altra il marito ed per ultimo il giovane reverendo Dimmesdale, che da subito si dimostra molto vicino alle sorti della donna e che si rivelerà avere un ruolo tutt'altro che prevedibile.


La prima cosa che mi ha colpito di questo romanzo è l'ambientazione che risulta da subito decisamente interessante. Ci troviamo nel 1600 in una Boston puritana composta da pellegrini giunti in America della vecchia Inghilterra; un aggregazione profondamente bigotta e timorosa del volere di Dio. Il libro inizia con una lunga e ricca prefazione in cui l'autore presenta un addetto della Dogana (alter ego di Hawthorne che ha lavorato per molto tempo proprio alla Dogana di Salem) che un giorno ritrova alcune carte che raccontano e attestano la storia di Hester Prynne questa giovane donna ripudiata dalla sua stessa gente per il grave peccato di aver tradito il marito. All'interno della carte viene anche ritrovata la lettere ricamata con ella stessa ha dovuto creare e portare sul corsetto per tutta la sua vita. Questo incipit non ha potuto fare a meno di ricordarmi quello dei "Promessi sposi" perchè anche Alessandro Manzoni attuata uno stratagemma del genere per dare via alla propria opera. In seguito a questo lo scrittore decide di buttarsi nel vero centro della storia ossia quando la povera Hester esce dalla porte della prigione con la figlioletta al seguito ed è costretta a salire sulla gogna dove anche una volta i grandi uomini della città le chiedono di rivelare il nome del suo amante, nome che lei, con grande coraggio e fedeltà non pronuncerà mai. In una società così retrograda e maschilista come quella ricreata, Hawthorne fa una scelta incredibilmente importante e da la maggior bellezza d'animo proprio all'unica donna, considerata come una peccatrice dalla sua città ma non dal suo autore che la venera come una martire in quel triangolo narrativo che si strutturerà per tutta la lettura. La narrazione si snoda infatti sui soli tre personaggi principali; la giovane Hester, ovviamente, il vecchio e vendicativo marito e l'affascinante reverendo Dimmesdale che si rivelerà essere proprio lui il padre della piccola Perla. Hawthorne da tutta la propria attenzione al profondo intimo di questi tre personaggi creando quello che risulta essere un racconto estremamente introspettivo. Forse anche un filino troppo. Grazie ad una scrittura un po' datata e anche un po' ossequiosa il lettore faticherò un po' a stare dietro alle vicende e percepirà soprattutto una forte e continua angoscia, trasmessa dall'animo dei personaggi, che renderà un po' ostica la lettura. Una lettura faticosa quindi, senza dubbio, che invita alla meditazione ma che non permette di scorrere una pagina dietro l'altra anche per via della quasi totale mancanza di discorsi diretti. Un'altra cosa che proprio non mi ha convito è la costante e pesante presenza della fede e di Dio; la religione ricopre sicuramente un ruolo chiave in questo romanzo (del resto il fatto che da vita a tutto è proprio un peccato divino) ma l'ho trovato davvero troppo presente anche solo nella descrizione che l'autore fa della piccola Perla, descritta più volte con un elfo, un esserino ribelle e a tratti malvagio nato proprio dal peccato. Un messaggio che a me non è proprio piaciuto e che mi ha lasciato un po' sconvolta soprattutto perché è spesso la stessa madre a vederla in questo modo. Detto questo, "La lettera scarlatta" è un romanzo che potrebbe essere interessante soprattutto per il contesto storico nel quale è ambientato ma che si perde un po' troppo nella struttura e nella prosa dell'autore. Il Classici già di per se non mi sono congeniali ma questo è proprio uno di quelli che non consiglierei.

Voto: 5

Frase: "Deve essere ascritto a credito dell’umana natura che, quando nulla venga a turbare il suo egoismo, essa è piú incline ad amare che a odiare. Per un graduale e silenzioso processo l’odio stesso si trasforma in amore, a meno che questo mutamento non venga impedito da una sempre nuova irritazione dell’originale sentimento di ostilità"


Nathaniel Hawthorne nacque il 4 luglio 1804 a Salem. Discendente di una famiglia puritana protagonista due secoli prima della storia della nuova Inghilterra e poi decaduta, perse il padre, capitano della marina mercantile, a soli quattro anni e crebbe in un clima di solitudine in cui conobbe la passione per la lettura e la scrittura anche se il suo primo libro "Funshawe", pubblicato nel 1828, non fu per nulla un successo e lo stesso autore decise di bruciare tutte le copie rimaste invendute. I primi successi letterari arrivarono solo con "Racconti narrati due volte" ma per conoscere la vera fama dovette aspettare fino al 1850 quando pubblicò "La lettera scarlatta", considerato il suo capolavoro. Due anni più tardi fu anche l'autore della biografia di Franklin Pierce, suo caro amici d'infanzia e futuro presidente degli Stati Uniti, per cui occupò anche alcune cariche importanti. Morì il 19 maggio 1864 a Plymounth. Di suo pubblicazione anche "Muschi di un vecchio presbiterio", "La casa dei sette abbaini", "Il libro delle meraviglie", "Il romanzo di Valgioiosa" e "Il fauno di marmo".

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