Buongiorno cari amici amanti dei libri e dei film, o per meglio dire, in questo caso delle serie tv!
Torno
a parlarvi di cinema perché proprio in questo weekend sono
finalmente riuscita a concludere una serie che nei mesi scorsi ha
riscosso un grandissimo successo.
Si
tratta di "Tredici" la serie tv targata Netflix tratta al
romanzo di Jay Asher che parla dell'adolescente americana Hannah
Baker che dopo aver subito una lunga serie di umiliazioni e
maltrattamenti fisici e morali, decide di porre fine alla sua giovane
vita.
Prima
d farlo però incide su sette cassette tutta la sua storia, dedicando
ogni parte a tutte le persone che in qualche modo sono responsabili
della sua terribile decisioni.
Le
cassette passano da uno all'altro fino ad arrivare a Clay Jensen,
ragazzo timido e ben voluto da tutti, che è stato per molto tempo
segretamente innamorato di Hannah.
È
attraverso di lui che noi veniamo a conoscenza dell'intera storia.
Ho
sentito parlare di questa storia diverse volte prima di decidere di
avvicinarmi ad essa, scegliendo di farlo in primi attraverso il libro
che ho letto la scorso mese e la cui recensione completa potete
trovarla sul blog cliccando direttamente qui
Chi
l'ha letta sa che è stato un libro che mi ha colpito molto,
soprattutto per i messaggi che la scrittore voleva mandare, e ho
iniziato a vedere la serie con estrema curiosità.
La
prima cosa che mi è apparsa è stata senza dubbio la diversità tra
il libro e la serie; la serie cambia alcune cose fondamentali come la
sequenza delle azioni, il tempo in cui la storia si compie (nel
libro, infatti, avviene tutto in una sola notte) e soprattutto il
rapporto tra Clay e Hannah, nella serie molto più profondo rispetto
a quello descritto nel libro, questo solo per citarne alcuni.
Vedendola
da occhio totalmente imparziale potrei dire che tutte queste scelte
sono necessarie per la buona riuscita di una serie tv e il
raggiungimento del favore del pubblico.
"Fanculo
la vita" risulta di certo un motto più ribelle rispetto a
"Centocinquanta la gallina canta" ma cambiamenti del genere
li trovo solamente irrispettosi nei confronti dello scrittore,
l'unico e il solo ad aver creato da zero l'intera, e visto il mio
mestiere non posso che essere di parte e arrabbiarmi un po' di fronte
a scelte del genere.
Per
questo motivo e una manciata di altri inizialmente ho provato un po'
di difficoltà ad approcciarmi alla storia che solo verso gli ultimi
episodi, una volta staccatasi completamente dalla sua trascorsa
verse, ha iniziato a presentare elementi capaci di colpirmi e
intrigarmi.
Ci
ho sono che ho apprezzato molto e che nel libro ho fatto fatica a
trovare.
La
storia come appariva nel libro, infatti, necessitava assolutamente di
essere approfondita, soprattutto se si vuole crearci sopra tredici
puntate, e ho apprezzato decisamente le strade che la serie ha
permesso di intraprendere, come l'effetto che le cassette hanno su
quelli che le hanno ricevute prima di Clay, fattore totalmente
ignorato nella forma iniziale, oppure la reazione dei genitori di
Hannah che scelgono di lottare per la verità invece di trasferirsi
nuovamente in un altra città senza porsi delle domande.
Anche
il ruolo di Clay, il vero protagonista, è ben diverso rispetto a
quello che ho potuto conoscere nel libro. Nella serie appare molto
più coraggioso, più determinato, si può dire più capace di
rompere il guscio nel quale è rinchiuso per affermarsi in prima
linea nella ricerca di giustizia.
Non
so dire con certezza quale delle due "versioni" mi sia
piaciuta di più ma di certo ho apprezzato l'interpretazione del
giovanissimo Dylan Minnette, già volto noto dello star set
americano.
Un
altro personaggio che ho apprezzato moltissimo, la vera rivelazione
se devo ammetterlo, è stato quello di Justin Foley, interpretato
nella serie da Brandon Flynn, il primo destinatario delle cassette.
Se
nel libro appare come poco più di un personaggio di sfondo, nella
serie è forse il personaggio che mi ha colpito di più. Non può
commuovere la sua situazione di ragazzo abbandonato a sè stesso e
costretto a crescere nella più completa povertà e solitudine per
via di una madre che non può definirsi tale. Grazie alla serie
ho compreso alcuni aspetti di lui che non avevo afferrato a pieno e
di questo sono molto contenta.
Un
ultimo aspetto che ho veramente trovato azzeccato è stata la scelta
di dare un ruolo preciso e un nome al ragazzo che perde la vita
nell'incidente, cosa che nel libro non viene fatto.
Una
rivelazione sconvolgete che aiuta a dare alla pellicola quel forte
fattore emotivo che la caratterizza.
In
poche parole, continuo ad apprezzare più il libro che la serie, che
però non boccio totalmente.
Se
ancora non l'avete vista vi invito a conoscerla e ovviamente a dirmi
cosa ne pensate.
Io
nel frattempo inizio una nuova avventura con la serie tedesca
"Babylon Berlin" di cui ho appena letto il libro e della
quale sicuramente vi parlerò nel prossimo appuntamento.
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